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Due giorni in Italia do Brazil di Giancarlo Frecchiami - Vedi tutti i nostri Reportage di Victor Hart
Per parlare della città più italiana di Santa Catarina, dobbiamo tornare al lontano 1891, quando gli ultimi immigranti arrivarono qui e fondarono questa colonia. Nella regione si installarono colonizzatori arrivati dal nord Italia per la grande crisi economica dovuta all’unificazione dell’Italia. Provenienti dalle regioni del Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, sognavano una miglior qualità di vita rispetto alla miseria indotta dalla rivoluzione e pensarono al Brasile come terra di grandi opportunità per far fortuna.
In questa vasta zona semi selvaggia si divisero in cinque gruppi che fondarono, oltre a Nova Veneza, Nova Belluno, Nova Treviso, Jordão e Belvedere. Quest’ultima ai tempi comprendeva parte dei territori delle altre comunita’, comprese quelle piccolissime gia esistenti, come Siderópolis, Urussanga e Criciúma. Quando nel 1925 Criciúma divenne distretto (una specie di provincia), anche Nova Veneza divenne distretto, ma solo nel 1958 venne dichiarata municipioLa Cittadina e’ situata nel sud dello stato di Santa Catarina, verso l’interno per una trentina di chilometri rispetto al mare, ed a pochi chilometri dallo stato del Rio Grande do Sul (il piu’ a sud del Brasile). Le basse colline permettono una vista che gia’ dal primo impatto meraviglia per la vastità ed il paesaggio. Buona parte del territorio e’ pianeggiante, tanto che sono numerose le coltivazioni di riso. Anche l’uva da vino, ed il miglio fanno parte delle coltivazioni locali, ma non mancano cose più esotiche, come la mangioca e la palma. La città, abitata da circa dodicimila abitanti e’ moderna, ed offre tutti i servizi necessari agli abitanti ed ai turisti. Ottimi gli alberghi e i ristoranti, tanto che per decreto e’ stata dichiarata “capitale catarinense de gastronomia italiana”.
Oggi gli abitanti di Nova Veneza sono orgogliosi del fatto di sentirsi in un piccolo angolo ancora “italiano” a molte migliaia di chilometri da quella che considerano la “Patria”, e si sentono così italiani che quando mi presentavo mi chiedevano se ero un vero “italiano da Italia ?”. Dopo 112 anni di colonizzazione infatti, il 95% della popolazione e’ formata dai figli diretti dei coloni, ed e’ conosciuta per il calore umano e l’allegria con cui vengono ricevuti i visitatori. Il restante 5% della popolazione e’ formato soprattutto da immigranti tedeschi con solo qualche frangia di brasiliani.
In realtà qui gli abitanti hanno mantenuto, e mantengono ancora oggi le antiche tradizioni dell’inizio ‘900, ed alcuni anziani lavorano ancora con i mezzi del tempo. Durante la nostra “spedizione” abbiamo potuto incontrare alcuni di questi personaggi, ormai novantenni, che però, al contrario degli altri immigranti sparsi per il Brasile, sono i figli diretti e non i nipoti o discendenti di terza generazione. Questo perché qui si e’ svolta l’ultima immigrazione di massa degli europei. Da queste parti si parla una lingua davvero strana: una mistura irregolare tra portoghese, dialetto bergamasco, dialetto veneto ed un italiano d’epoca, piuttosto diverso... ma l’insieme e’ abbastanza facile da capirsi.In due, il fotografo brasiliano Victor Hart ed io, abbiamo raggiunto la città dopo un viaggio in “omnibus” di 216 chilometri, partendo da Florianopolis, la bellissima capitale dello stato. Per arrivare si passa anche attraverso quella che a noi potrebbe sembrare la foresta amazzonica, ma che in realtà loro chiamano “mata atlantica”... si tratta di estensioni di centinaia o forse migliaia di chilometri di “boschi” intricatissimi con piante tropicali, bellissime orchidee, palme e piante grasse, intervallati da prati sterminati dove pascolano libere le mucche. Ci sono cascate, splendidi laghetti ed infine estensioni infinite di risaie e coltivazioni varie. Nel sud oltre ai pappagalli ci sono colibrì e coloratissimi uccellini dal canto inconsueto per noi europei. Così si arriva a Caravaggio (?)... gia’, si tratta di una frazione di Nova Veneza dove i bergamaschi hanno voluto ricostruire persino il Santuario. In realtà e’ diverso da quello originale, ma il risultato e’ davvero bello e comunque dedicato proprio alla Madonna di Caravaggio (Bergamo). E’ divertente pensare di spostarsi da Caravaggio a Venezia in due minuti di automobile.
Siamo arrivati in città nel primo pomeriggio: casette basse, molto curate e piene di fiori, tanto che se non fosse per la differenza della flora, sembrerebbe l’Olanda. Poi il centro, moderno e poco trafficato, ma dove non esistono palazzi altissimi (4/5 piani al massimo) e tutto sembra proporzionato per una vita tranquilla. Accolti ed ospitati dalle stesse autorità comunali, abbiamo iniziato il tour fotografico gia nel pomeriggio, passando tra aziende vinicole, fazendas, monumenti e reperti storici. Purtroppo il cielo della primavera antartica non ci ha fornito le condizioni per ottenere immagini pulite e cosi abbiamo rimandato al giorno dopo, terminando la giornata in un favoloso ristorante italiano, con tanto di caminetto a legna acceso... tutto questo in un Brasile che troppi conoscono in Italia solo per cose superficiali.
Il mattino seguente era sereno ed abbiamo ripreso il giro, sempre con la guida e l’automobile fornite dal comune. Tra paesaggi da sogno abbiamo trovato vecchie abitazioni in legno e persino un anziano ferrero bergamasco (artigiano del ferro) che lavora ancora con le macchine che ha portato con se nel 1929. Sono attrezzi che funzionano con un complesso sistema di cinghie e ruote collegate ad un mulino ad acqua azionato da una piccola diga che egli stesso ha costruito... un miracolo d’ingegnosita’ tuttora funzionante. Il signor Raulino Tomazi parla piu’ bergamasco che italiano (naturalmente il portoghese), ed ora e’ in pensione, ma si e’ costruito in fianco alla vecchia officina in legno, una casa di tutto rispetto.
Ci sono poi i fratelli Otavio ed Erminio Nazari, trevigliesi da parte del padre ma nati gia’ in Brasile intorno al 1912. Il primo sarto, il secondo muratore, sono simpatici ed arzilli novantenni che parlano abbastanza bene il dialetto bergamasco e che hanno gradito la nostra visita fin quasi alle lacrime. Poi Giuseppe Gava e la moglie Rosa Tiscot, vinificatori ottantenni, e tanti, tanti altri personaggi, tutti con “saudade” di un’Italia un po’ idealizzata che non hanno mai potuto conoscere.
Ma la cosa che ci ha colpiti di più e’ la storia della “Casa di Pietra”, oggi luogo turistico e patrimonio dello Stato. Tra gli immigranti del 1891 c’era un muratore, tale Luigi Bratti di Longarone. Cosi, mentre i coloni si costruivano case in legno, si guardò intorno notando quante rocce sporgessero dal terreno. Erano sassi di natura vulcanica che rendevano ardue anche le coltivazioni. Cosi’ decise di costruirsi una casa in pietra. Però di giorno doveva lavorare presso altri per mantenere la famiglia e così iniziò a farlo di notte ed alla domenica. Assistito dalla moglie che gli reggeva la lanterna, raccolse i sassi ed in 14 anni di duro lavoro (1891-1905) costrui’ tre case senza cemento. Secondo l’usanza dei tempi si prevedeva che una fosse adibita a cucina, la seconda a dormitorio sociale e la terza a stalla per prevenire i furti di bestiame da parte degli indios Bugres, ancora ostili dopo decenni per gli scontri avvenuti con i primi coloni nel 1819. La sua tecnica fu tale da essere copiata ovunque, tanto che ancora oggi molti dei migliori ristoranti e le case piu’ belle sono costruite cosi’, solidissime e senza cemento. Ma la “Casa di Pietra” resta ancora oggi il maggior gruppo di costruzioni “staccate tra loro” del sud America.
Nel pomeriggio eravamo pronti per tornare a casa quando l’assessore al turismo ricordò una cosa e ci condusse su una strada sterrata fino a dodici chilometri dalla città. Era la ciliegina sulla torta... una ciliegina grossa come un melone, perché scoperta solo un mese prima, nel settembre 2004 e riscontrata poi da vecchi documenti che parlavano di un cimitero perduto. Lasciata la macchina ci siamo addentrati per quasi un chilometro in una selva intricata come non avevo mai visto e li, in uno spiazzo c’era una lapide in pietra, chiaramente molto vecchia, ed il supporto per una croce sempre in pietra, sul quale erano incise profondamente la data di nascita e di morte di una ragazza vissuta nell’800... la scritta era in italiano. La cosiddetta “mata atlantica” e’ talmente vasta ed intricata che in oltre cento anni nessuno era entrato proprio li... non c’erano motivi per farlo Solo il mese scorso qualcuno l’ha scoperto per caso e le autorità se ne sono interessate. Ora siamo i primi a possedere le foto di questo cimitero dimenticato. Sembra che i coloni portassero fin qui i loro morti, colpiti da malattie tropicali allora sconosciute per impedire il contagio attraverso l’aria o le falde acquifere.
Solo nella notte siamo cosi rientrati in Florianopolis con molte splendide fotografie di un luogo quasi magico, di un pezzo d’Italia nascosta nel sud del “continente” Brasile, un luogo che vorrebbe essere piu’ vicino a noi e merita davvero una visita.
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